Sul desiderio

È la sera del 13 maggio di una primavera romana del 1882. Una giovane russa di ventun anni, Lou Salomé, è in compagnia di un intellettuale prussiano conosciuto da poco, Paul Rée.



Rée, trentaquattrenne, è entrato in confidenza con Friedrich Nietzsche, anch’egli in quel periodo salito a Roma. Paul tiene molto a far conoscere Lou e Friedrich, al punto da combinare un incontro. Lou, nata nella piccola nobiltà russa, è una ragazza colta e ambiziosa, bionda e con gli occhi chiari, decisamente affascinante. Nietzsche all’epoca ha trentotto anni, sta scrivendo La gaia scienza ed è già molto noto nell’ambiente intellettuale, non solo tedesco. L’appuntamento è nella basilica di San Pietro, “dove, seduto in un confessionale, Paul Rée attendeva con zelo ai suoi appunti di lavoro e dove perciò – scrive Lou ricordando – Nietzsche era stato indirizzato”.



Nella descrizione che ne dà la stessa Lou, Nietzsche è un uomo di media statura, dai capelli castani pettinati all’indietro, veste in modo semplice ma curato, ha un’andatura cauta e meditabonda. Entra in chiesa, percorre la navata e si ferma davanti a Lou: «Egli mi rivolse il suo primo saluto con le parole:



“Cadendo da quali stelle siamo stati spinti qui, l’uno incontro all’altra?”»



Inizia così l’intenso rapporto tra il filosofo e la giovane intellettuale russa, una vicenda breve, difficile e nel complesso infelice.



In molti hanno provato a riflettere sulle parole del filosofo tedesco; perché nel vedere per la prima volta Lou ha usato quelle parole? Cosa significa “Cadendo da quali stelle…?” Ed in che rapporto il desiderio (ovvio conoscendo la storia di Nietzsche e di Lou Salomè) sta con le stelle?



Una banale analisi del termine latino, desiderare, ci è qui di conforto. De-siderare, ossia distogliere lo sguardo dalle stelle, riportare la vista, la nostra attenzione, che si era affannata nel contemplar le stelle, qui sulla terra.



Nietzsche de-sidera. La sua attenzione non è più al cielo ed ai suoi astri/sidera, ma è de-siderata: ha distolto lo sguardo dagli astri e lo ha affissato ad un soggetto de-siderato, lontano dalle stelle

De-siderare significa quindi ritornare con i piedi per terra, riappropriarci dei nostri istinti materiali, carnali, viscerali; significa smettere di essere una mente pensante, una res cogitans, e tornare a vivere la condizione di uomo, che è a metà strada tra l’angelo e la bestia. Croce e delizia, dirà qualcuno: l’uomo, per questa sua doppia origine, essendo perennemente trainato da cavalli che lo conducono verso l’alto (verso le stelle) e cavalli che lo trainano verso il basso (il mondo dei “bassi” istinti materiali), è perennemente agitato, combattuto internamente, senza pace.



Esser mossi dal desiderio è proprio degli esseri umani; non fosse così’, saremmo creature sante, compiute in sé, senza mancanza, e senza quindi nulla da andarsi a cercare fuori di esse. In termini cristiani il desiderio è sicuramente una caduta, un allontanarsi dall’eternità perfetta delle stelle, che stanno a simboleggiare la perfezione della divinità. Desiderare significa esporsi agli scacchi della vita, che si possono tramutare alternativamente in dolore (se il desiderio risulti frustato) o in noia (nel momento in cui, appagato, questo ci viene a noi, appunto in quanto conseguito, finito, privo di ulteriori stimoli se non l’appagamento nel ricordo del successo)

Come diceva Wilde “Ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un desiderio, e soddisfarlo” .



Ma torniamo un attimo alla frase di partenza: voglio mettere in evidenze due altre cose. Innanzitutto che distogliere lo sguardo dalle stelle, riappropriarsi del proprio esser carne e istinto, non mi sembra un allontanarsi dalla saggezza; forse per gli orientali si; e si rimanga ingarbugliati nella ricerca continua ed ossessiva di nuove cose da conquistare, quello si sarebbe un errore. Ma ancora più grave sarebbe il non riconoscere che noi si è fatti di carne e spirito, non solo l’uno, e non solo l’altro. Disattendere uno dei due poli, questo si, significherebbe tradire il nostro esser uomini, disattendere il nostro destino di ragione e materia.



La reale dimensione dell’uomo è un oscillare tra dimensione e spinta verticale, verso le stelle, e dimensione e spinta orizzontale, la terra. Saggezza sarà trovare un equilibrio tra le due dimensioni, lasciandosi andare alla necessità della terra secondo ragione, e dedicarsi al contemplare le stelle, senza dimenticar che di carne sangue e sperma siamo fatti, non siamo anime disincarnate come si sarebbe voluto il Platone del Fedone. Disattendere le esigenze di uno dei due poli, porta conseguenze nefaste anche nel polo opposto.



La seconda considerazione è che il desiderare è doppio, non singolare. E’ una forza che spinge due anime l’una verso l’altra “cadendo da quali stelle siamo stati spinti?” dice Nietzsche; è incontro di due soggettività, che appaiono l’una all’altra, che si aprono vicendevolmente. Non è più il dramma del singolo gettato nel mondo, che si trova sempre frustato nel suo desiderare. Sapere che il desiderio ci apre all’alterità, che è l’alterità stessa la condizione per l’aprirsi del nostro desiderio, è in certo qual modo consolante. Se come diceva Dante “amor c’ha nullo amato amar perdona”, se il nostro desiderio è capace di suscitare desiderio nell’altrui soggettività, se il nostro stesso desiderare è condizione per il vero incontro con l’altro; il desiderio è, prima d’ogni cosa, già rapporto con l’altro; ed è innanzitutto desiderio di incontrare la realtà mediante l’incontro con gli altri; senza desiderio, non avremmo neanche motivo di uscire di casa; di più verrebbe a mancare addirittura ogni tipo di motivazione a vivere invece che smettere di farlo; per quanto possa essere esposto allo scacco, il desiderio è quella forza tranpersonale, non governabile da noi, che ci fa immettere nella realtà; è quindi, il supremo motore del mondo e della vita.



Niente desiderio, niente vita



Nad84

Nad, hai studiato filosofia o hai mangiato un libro senza masticarlo??? :smiley:

Decisamente la seconda! :-DDDDDDDDDD

senza masticarli? non vorrei essere nei tuoi panni quando li dovrai cacare, sti libri! XD

In un vangelo apocrifo, Gesù ha detto:

"Maledetta l’anima che dipende dal corpo, maledetto il corpo che dipende dall’anima"



Il desiderio è parte della nostra natura, e sopprimerlo sarebbe contro natura. L’importante è che non diventi la via per il raggiungimento della felicità, come dicono gli orientali.

Sennò si arriva al punto : “Se avrò X, sarò felice”, con X che cambia ogni volta che ci si è stufati del precedente.

@ ghe: l’esempio che fai è riferito a:



avere-> fare -> essere



che è un modello perdente.

si cambia obiettivo (X) per mancanza di motivazione/stimolo e perché nel dover affrontare certi limiti/paure è più facile tirarsi indietro.

Le persone di successo, quelle che raggiungono i loro sogni/desideri invece seguono:



essere -> fare -> avere



ovvero diventano quella persona per fare quelle azioni che portano ad avere (raggiungere) quel risultato.



Che differenza c’è tra Desiderio e Obiettivo?

Desiderio è: voglia intensa di avere o fare qualcosa che procura piacere, soddisfazione; impulso dell’animo a possedere o realizzare quanto si pensi possa appagare un bisogno fisico o spirituale.

La voglia è è intensa, è improvvisa, ed è momentanea!



Obiettivo è una meta che ci si propone di raggiungere, risultato che si vuole ottenere.



Epicuro, ha diviso i “desideri” in “naturali” e “vani”.

Desideri naturali: quelli relativi al benessere, alla cura e alla protezione del corpo; quelli per la vita come il nutrimento, il riposo, ecc; e quelli rivolti semplicemente alla ricerca del “gradevole”…



Epicuro divide i “desideri vani” in “artificiali” (ricchezza, la gloria, il potere ecc.) ein “irrealizzabili” (immortalità).



Questa suddivisione fa comprendere come i desideri, non solo nascono spesso da bisogni “fisici”, ma soprattutto, non essendo “specifici”, tendono ad influenzare, sia in positivo che in negativo, il nostro stato d’animo, le nostre emozioni, i nostri pensieri e i nostri comportamenti: non a caso Schopenhauer sentiva il desiderio come “fonte” di dolore.

Desiderare qualcosa di concreto, di emotivo o un cambiamento spesso non viene espresso né vissuto in maniera positiva e viene influenzato dall’esito della realizzazione o della direzione in cui stanno andando le cose riguardo a quel desiderio.



Gli obiettivi invece devono avere determinate caratteristiche che li rendono maggiormente monitorabili e perseguibili.

Si, io intendevo che il perseguimento della felicità tramite i “desideri artificiali” non porta a nulla, nonostante gli stessi non siano un male di per sè.