Interessi artistici. Che per svogliatezza non ho mai portato a fondo, salvo alcune fortunate occasioni dove sono riuscito a trovare persone like-minded. Negli ultimi anni avrei voluto avviare un mio progetto, e qualche anno fà ci stavo riuscendo: trovai un altro chitarrista con il quale stabilii fin da subito una forte comunicazione a livello musicale, ma abbastanza scarsa a livello umano. Quando suonavamo comunicavamo molto bene, fuori da questa condizione, no. Sempre per via del fatto che lui è un animale sociale (spesso e volentieri grottesco, ma comunque molto sociale) ed io no, ragione per la quale io finivo sempre per farmi due coglioni quanto una casa ogni qualvolta ci intrattenevamo insieme in un attività che non fosse il suonare. Decisi di lasciarlo perdere dopo che l’ultima volta che suonammo si addormentò sullo strumento perchè era ubriaco e strafatto. La cosa mi demoralizzò, perchè ho sempre un aspettativa alta, sia nei miei confronti che verso gli altri. La superficialità, le cose arronzate, lo ‘small talk’ , il parlare tanto per parlare, sono cose che mi vengono impossibili. Metto un estrema cura nelle cose che mi appassionano e mi gira il cazzo vederle svendersi e diventare robaccia. E mi gira il cazzo a guardare persone superficiali che si intrattengono con cose superficiali, o persone artificialmente profonde che giocano a fare i profondi quando non lo sono. Non riesco a tollerare questo starsene a galla, mi scatta una noia ed un disprezzo verso il prossimo che sò controllare e trattenere, ma c’è, e finisce per esprimersi in un sarcasmo freddo o nella totale indifferenza.
Sò di apparire diverso e per questo di dare comunque nell’occhio, in un certo senso. Mi piace sapere di essere illegibile a gli altri, tralaltro. Ma a chi non mi conosce, appaio semplicemente come una persona esente dalla routine sociale. Che ha scarso interesse nel socializzare. Qualcuno potrebbe persino considerarmi snob e indisponente, (se mi si fà incazzare) ma ormai preferisco il silenzio. L’indifferenza ferisce ancora di più. A volte capita che camminando per strada con amici, qualcuno incontra un suo altro amico/conoscente e questo si presenta a sua volta. L’ultima volta che è capitato il tizio mi ha dato la mano presentandosi, io ho ricambiato la stretta, l’ho guardato negli occhi, e non gli ho detto un cazzo. L’ho semplicemente guardato con il classico death stare che hanno alcuni pregiudicati nelle foto segnaletiche. Semplicemente non voglio pagare il dazio dell’idiozia, in qualunque forma essa si presenti, e per gran parte degli ultimi 7 anni ho preferito rivolgere la mia vita sociale molto più verso le amicizie già consolidate, piuttosto che cercarne di nuove/cercare relazioni. Si potrebbe dire che l’ho fatto quasi in maniera esclusiva. Perchè, no matter which omologation - le persone continuano a sembrarmi comunque dedite a questo ‘essere banalmente sociali’ che a me pare così estranea come cosa. Anche quelli più impegnati, mentali, sensibili, finivano sempre per deludermi per via di qualcosa che aveva a che fare con questo aspetto. Anche i miei amici attuali lo fanno, non esiste l’amicizia perfetta e con il tempo ho imparato che bisogna prendere le persone per quello che sono. Che bisogna stare con quello lì per quella data cosa, e con quell’altro per quell’altra data cosa. Punto. Il senso di aggregazione che in realtà io covo al mio interno, non ha mai avuto modo di compiersi per via della banalità con la quale il mondo del sociale mi si presenta. L’ho sentito morire e rinascere più e più volte in questi ultimi anni. Verso le persone che mi stimolano riesco a superare questa barriera, semplicemente perchè la barriera neanche si pone e se lo fà, accade in maniera irrisoria.
Credo che il mio problema sia che non riesco a vedere il socializzare distaccato dai contenuti. E questo accade anche con gli amici, per certi versi. Mi capita, in certe occasioni, di chiedermi se li sto annoiando. Perchè vedo che anche loro sono combattuti, che cercano il sociale ma che al tempo stesso lo odiano; ma che comunque, in qualche modo, riescono a pagare quel dazio che io non riesco a pagare. Gli amici profondi che possiedo mi cercano per la profondità, non per la socialità. Credo che la socialità con loro subentri come conseguenza, come accettazione, non come causa. Ripeto, non mi comporto da accademico col palo nel culo, tuttaltro. Ma mi rendo comunque conto di essere sempre cerebrale nel rispondere, qualunque sia l’argomento. Però, nell’ultimo periodo mi sono accorto proprio del fatto che in fin dei conti, stare con gli altri è sempre meglio che arrovellarsi. Ho rivalutato questa cosa, ed ho smesso di isolarmi. Oggi prevale lo stare con gli altri, ma mi ci sono voluti anni per ritornare a desiderarlo.
Sono conscio del fatto che non necessariamente manteniamo lo stesso tipo psicologico per tutta la vita. Io probabilmente sono stato qualcos’altro fino all’adolescenza, poi sono diventato sempre di più INTJ. Ricordo chiaramente che fino ad una certa età ancora compresa nei teen, non mi veniva complicato diventare il ‘protagonista’ di una situazione. Ma ho sempre percepito una certa ansia da prestazione nel posizionarmi sotto lo spotlight. Fin da allora, riconoscevo le condizioni in cui ero l’alfa, e quelle in cui ero il beta. Stare al centro dell’attenzione mi piaceva soltanto quando mi sentivo nel mio elemento. Non sono mai riuscito a farlo a prescindere. Le esperienze che mi hanno portato ad impersonificare lo stereotipo della persona generalmente assente, sulle sue, disinteressata al rituale sociale ed alla sua formalità, le ho riconosciute e metabolizzate attraverso gli anni. Alcune sono ancora in ‘revisione’. Anche se avrei dovuto incominciare a sbattermi molto prima, come hai fatto tu, alla soglia dei 30 credo di essere ancora in tempo per incominciare a sbattermi seriamente. Le persone che mi conoscono vedono il fuoco che ho dentro, che nell’intimità esce sempre. Sono riuscito a guadagnare il rispetto delle persone che reputo sinceramente amici, ma tendo sempre a fare una scrematura, e mi sono reso conto che certe amicizie servono unicamente durante un certo periodo, poi la mente le declassa quasi come fosse un automatismo. Alcune vengono costantemente alternate in base ad un principio di priorità: chi mi serve di più oggi/in questo periodo? Altre le ho riprese dopo anni di assenza. Altre ancora temo di averle abbandonate per sempre.
Recentemente è accaduto qualcosa che per me era inaspettato. Il mio ‘buon amico’ del titolo mi ha fatto una confessione. Mi ha detto che mi invidia. Che mi invidia per il mio ‘essere libero’, non vincolato ad una relazione o un lavoro. Ed ha rimarcato come Lui vorrebbe mollare entrambe le cose. Io gli ho semplicemente risposto che una troppa libertà è la stessa cosa di una non-libertà. Lui ha controbattuto che avrebbe voluto provarla almeno una volta nella vita questa troppa libertà. Io l’ho esortato a considerare i lati positivi, come quello dell’esser riuscito a ritagliarsi un ruolo da leader. Attivo nel sociale insomma, nonostante condividiamo la stessa noia verso gli ambienti/persone che non ci stimolano. La verità, è che anche io invidio Lui. Invidio il fatto che lui ci riesca comunque. Invidio il fatto che sappia cavarsela e che cerchi con tutto se stesso di sopravvivere con le sue sole forze. Invidio il fatto che abbia degli allievi e che sia riconosciuto come mentore e figura di spicco nel suo campo. Invidio il fatto che stia con una ragazza molto desiderabile non solo da un punto di vista estetico. Siamo così simili, eppure così diversi. E’ come se la base sia pressocchè quella, solo che lui è il giorno ed io sono la notte. Il tipo di protagonismo che cerco io è diverso dal suo. Si costruisce sulla concettualità più che sull’applicazione pratica della stessa (non a caso l’INTJ è definito l’Architetto’). Lui è quello alla scoperta delle cose, io quello alla scoperta delle idee. Lui è quello a dirigere il cantiere, io quello a dirigere il progetto. Lui è quello a dirigere gli oggetti, io quello a dirigere i discorsi. Questo non significa che Lui sia completamente a corto di concettualità ed io completamente a corto di pratica. Ma ci differenziamo per queste attitudini. Lui è Yang, io sono Yin. Ma in entrambe le polarità c’è sempre un pallino dell’altra. Più ci penso, più la nostra distinzione secondo questi due principi regolatori è chiara, dalle banalità alle cose più complesse: Lui è biondo, io castano, Lui è colorito, io sono pallido, Lui è attivo, io sono prevalentemente passivo, Lui vive più alla luce, io più al buio, io sono prevalentemente freddo, Lui prevalentemente caldo, Lui identifica una salvezza astratta nella mente pratica del Demiurgo mentre io la identifico nella decadenza concettuale del Caduto, Lui ha avuto una figura paterna presente ma dura, io una più assente e libertaria, i suoi stanno ancora sposati mentre i miei sono divorziati da anni, e via dicendo.